lunedì 2 aprile 2007

le boutique si adattano all'uomo

Si cerca di far diventare piacevole lo shopping agli uomini
(ANSA) - PARIGI, 1 APR - Le boutique parigine puntano a riconciliare l'uomo e lo shopping, mescolando vestiti e accessori con oggetti di design, libri, alimentari.Secondo il quotidiano Le Monde l'intento e' quello di trasformare la pratica dello shopping maschile in un'esperienza di piacere e non in una semplice necessita' per cui l'importante e' fare sentire l' uomo a proprio agio. Cosi', si concepisce il negozio come un appartamento fatto da piu' stanze e piani, con appese ai muri fotografie, disegni, quadri.

giovedì 22 marzo 2007

Naomi spazzina, accordo per foto

La modella avrebbe ottenuto scatti per servizio di moda
(ANSA) - NEW YORK, 21 MAR - Naomi Campbell spazzina avrebbe trasformato la sua condanna a 5 giorni di lavori 'socialmente utili' in una vera e propria sfilata. La modella si e' esibita davanti agli obiettivi di un fotografo i cui scatti finiranno in un prossimo servizio di moda: lo insinua il Daily News. Abiti all'ultimo grido, tacchi vertiginosi griffati Christian Loboutin, la borsa portata dal poliziotto che la scorta, per Naomi non si tratterebbe di semplice vanita' - scrive il giornale - ma di show business.

lunedì 19 marzo 2007

IL TRIONFO DELL'INUTILE

Melandri, libro su moda e cibo
Anche un manifesto di autoregolamentazione rivolto alla moda
(ANSA) ROMA, 18 MAR - I giovani, le mode, il dramma dell'anoressia, esce un libro 'Come un chiodo' scritto dal ministro Giovanna Melandri con Benedetta Silj. In appendice al testo, il ''Manifesto di Autoregolamentazione della Moda Italiana contro l'Anoressia'', voluto dal ministero per le Politiche Giovanili per coinvolgere e responsabilizzare il mondo fashion al problema dell'anoressia. ''I disturbi del comportamento alimentare - scrive il ministro -sono una delle forme piu' diffuse di disagio giovanile.

mercoledì 14 marzo 2007

E' FINITA L'ERA DELLA PATACCA

Anzi è durata fin troppo. E mi chiedo: ma come fanno centinaia di migliaia di rimbambiti a diventare affissioni viventi di marchi? Con tutte queste patacche cinesi da 200 euro cad che ci riportano loghi o stemmi di qualsiasi tipo. Anche questo effetto va letto come una clamorosa incapacità di scegliere, della totale mancanza di un gusto e uno stile personali, di non rifuggire l'effeto tribù ma preferire la solitudine di massa, quella che, spinta dai grandi investimenti pubblicitari, ci dice come dobbiamo vestirci e dove andare a mangiare. Tanto che stupidi e inutili marchi a fronte di spaventosi investimenti pubblicitari e con collezioni insulse riescono a far breccia nell'immaginario giovanile e non solo. Ma adesso la saturazione DA LOGO ha generato un netto rifiuto che si materializzerà nel corso del prossimo anno. GRAZIE A DIO.

DA CORRIERE.IT

Matteo Cambi, l'inventore del marchio Guru
«Sono stato con la Gregoraci e le altre»
«Ma non pagavo per questo: ho 30 anni, non ho mai avuto bisogno di mettere mano al portafogli. Me la giocavo da solo»
MILANO — Matteo Cambi, c'è anche il suo nome nel fascicolo dell'inchiesta su Vallettopoli... «Sono stato sentito come persona informata dei fatti».Al pg avrebbe confermato che Fabrizio Corona le ha procurato ragazze per alcune serate promozionali e di intrattenimento. «Esatto. Ho un contratto di collaborazione con l'agenzia di Corona da parecchi anni, non ricordo più da quanti».Per 20 mila euro al mese? «Mi pare, se ne occupa il mio ufficio stampa interno».In cosa consiste? «E' un contratto a livello aziendale con la mia Guru per organizzare eventi, procurare personaggi e redazionali sulle riviste di gossip».Tanto è vero che per anni lei è stato paparazzato con ragazze, sempre diverse. Il play boy, scrivevano. «Già».Per «amore» o per denaro? «Ho trent'anni e non ho certo bisogno di pagare qualcuno...».Ma queste ragazze gliele procurava Corona o no? «Sì, ma per i miei eventi».E non le ha mai detto che poteva anche andare oltre? «No. Ripeto, ho trent'anni e quando ho cominciato col mio lavoro e con i personaggi ne avevo 25, non avevo certo bisogno di qualcuno che mi procurasse ragazze».Non ha mai avuto «storie» con i «personaggi»? «Sì, ma semplicemente perché si sono create le situazioni... Insomma me la sono sbrigata da solo. Me le sono giocate».Quante? «Cinque "storie", questa è tutta la mia grande attività di play boy...».Nomi? «Al pm ho fatto il nome della Gregoraci, ma è successo prima che si fidanzasse con Briatore».Parla sempre al passato, ora non succede più? «Da un anno ho una compagna, una ragazza normale di Parma e sto bene. E poi ormai l'azienda è lanciata e non ho più bisogno di testimonial. L'ultimo evento organizzato con Fabrizio è stato in settembre, l'inaugurazione del mio negozio a Milano. E sapete cosa è successo? Il testimonial protagonista, la Sylverstad, se ne è andata a metà serata perché c'erano troppi paparazzi. Ora se avessi pagato per altri scopi se ne sarebbe andata così a metà?».Mai pagato per bloccare foto sconvenienti? «Mai» Una volta ha chiesto una ragazza per andare a cena a casa di Berlusconi? «Sì, per rappresentanza. Non l'hanno trovata».Non si è mai accorto di giri equivoci? «Mai. E poi io non vivo a Milano, non frequento gli ambienti milanesi. Capito per i miei eventi e poco più. Troppo poco per vedere».Nell'ultimo anno si è defilato perché ha sentito puzza di bruciato? «E' successo in tempi non sospetti. No, non mi sono spaventato, semplicemente ho deciso di occuparmi dell'espansione commerciale dopo aver spinto molto sull'immagine».
Paola Pollo

martedì 13 marzo 2007

Kate Moss si racconta a Vogue

LASCIO A VOI OGNI COMMENTO. MA CHE SQUALLORE!!!

Nella sua prima intervista se la prende con i paparazzi
(ANSA) - LONDRA, 12 MAR - Kate Moss non concede interviste ne' fa dichiarazioni pubbliche, ma nella prima che rilascia se la prende con i paparazzi. Intervistata da Vogue, la modella non parla dei suoi problemi con la cocaina o del suo fidanzato Pete Doherty, ma dell'insistenza dei paparazzi a fotografarla e dell'amore per sua figlia: 'Una volta una fotografa mentre mi seguiva ha inciampato e si e' tagliata il labbro. Io l'ho soccorsa ma lei continuava a scattare foto', racconta

lunedì 12 marzo 2007

GIORNALISMO DI MODA ? SOVIETICO

E' davvero triste conoscere il sistema che regola il giornalismo di moda. Compri pagine e ti vogliono bene. Non le compri anche se fai un gran bel prodotto e nessuno ti dà retta. L'inchiesta, l'approfondimento non fanno parte del sistema e molto spesso quello che leggiamo è scritto da pennivendoli che non hanno la più pallida idea di quello che scrivono. Mi chiedo: ma come si fa a prendere sul serio i vari DOSSIER MODA, L'intervista all'imprenditore di turno, i consigli per gli acquisti etc.. Eppure esiste una grande tribù di ingenui che continua a vestirsi come i magazine comandano. L'effetto: tutti divisi per categorie nel look e nello spirito. L'assenza di criticità e davvero il sintomo più evidente di una pochezza di contenuti e di forte indecisione. Mi vesto come il mio vicino per non rischiare. A Milano (una delle città più provinciali del mondo) basta uno sguardo per rifilare un'appartenenza. Un pò come quel film I GUERRIERI DELLA NOTTE, e cioé dimmi come sei vestito e ti dirò chi sei. Che tristezza........

giovedì 8 marzo 2007

Paolo Zegna: etichettatura d'origine, oggi più importante che mai

Il presidente di Smi-Ati ha commentato una recente sentenza della Corte di Cassazione, favorevole a prodotti che si fregiano della dicitura "Italian design", anche se l'origine della produzione è tutt'altro che italiana. "La trasparenza - ha detto - è un elementare principio da applicare nei confronti del consumatore". "La decisione della Corte di Cassazione - ha sottolineato Zegna - è purtroppo in linea con quelle già prese dalla Suprema Corte sul tema". Quindi, come ha ribadito il presidente di Smi-Ati, è necessario lottare ancora più duramente per ottenere l'approvazione del regolamento sull'obbligatorietà dell'etichettatura di origine in sede di Commissione Europea. Infatti, non è sufficiente che il produttore comunichi su base volontaria solo alcune informazioni (che devono comunque risultare veritiere): è indispensabile, invece, che apponga per legge l'indicazione di origine geografica degli articoli, come peraltro accade in Paesi come gli Usa, la Cina e il Giappone. "Chi acquista un prodotto deve poter scegliere liberamente - ha concluso l'imprenditore - senza rischiare di essere indotto in errore al momento dell'acquisto". da fashionmagazine.it

mercoledì 7 marzo 2007

"MANIFESTO-SCHIFEZZA"

Sulla dibattuta quaestio della foto-stupro di Dolce e Gabbana, è assai difficile pronunciarsi. Infatti, dei pubblicitari, non si è mosso nessuno e tanto meno il Giurì. Per timore di passare da bigotti, o per eccesso di degnazione, gli uni; per mancanza di attenzione o carenza di autorità il secondo. Il risultato è la latitanza di ogni giudizio critico, da parte di chi saprebbe esercitarlo, forse anche per il timore di schierarsi o di urtare l’apparatciki moda/pubblicità/editoria. Che dire, infatti, dei ritratti in un interno di Dolce e di Gabbana, pubblicati da un periodico, dove quest'ultimo appare in tacchi a spillo e col pacco rigonfio? Al confronto, le foto di moda sono tablaux vivants per educande. Oppressi da tale perversione del gusto, è con un sospiro di sollievo che si legge quanto ha scritto su D&G Natalia Aspesi su La Repubblica del 4 marzo. Secondo quanto riportato in un articolo apparso su L'Unità di oggi, anche i lavoratori di Dolce&Gabbana si sono schierati nettamente contro lo spot-stupro, definendolo "manifesto-schifezza". In seguito ad un'assemblea dei tessili Cgil, Cisl e Uil, i lavoratori della casa di moda hanno richiesto il ritiro immediato della campagna, minacciando di organizzare per l'8 marzo un boicottaggio dei prodotti D&G.
Di Lillo Perri

lunedì 5 marzo 2007

SEMPRE PIU' LONTANO IL MADE IN ITALY

L'oggetto del contendere è la sentenza con cui la Corte di Cassazione, giovedì scorso, ha promosso il "disegnato in Italia". Una vera e propria sconfitta per il Made in Italy, cioé il fatto in Italia. I motivi sono facilmente rintracciabili. Chi produce all'estero e in particolar modo chi ha marchi molto forti è solitamente più propenso al "disegnato" o al "pensato in Italia" perché nei confronti del consumatore può far valere la legge delpiù forte con prodotti fatti in Cina o in India e venduti a prezzi davvero irragionevoli. Continuiamo a farci prendere per il culo. E a pagare cineserie griffate italiane.

venerdì 2 marzo 2007

FASHION VICTIM B SIDE


Da ITALIANS, forum di Beppe Severgnini per Corsera

Salve a tutti,
Moda Italiana - "volgarità dal bordello" Critica del "New York Times Finalmente qualcuno ha detto la verità sulla moda italiana. Io mi ricordo di un tempo quando passavo delle vacanze in Italia e ho ammirato le donne elegantissme, come non si vedeva mai in Inghilterra o Germania. A volte ho anche comprato un vestito - costoso ma così bello ed elegante per stupire i miei colleghi e amiche in Inghilterra. Adesso abito in Italia, ma compro tutti vestiti in Germania. Non voglio sembrare una poco di buono! E dov'è il senso inconfondibile dei colori e come abbinarli che una volta voi sapevate fare come nessun' altro popolo?Denise Hamer Hope.

Anche la Cgil vuole le scuse di D&G

Protesta contro la nuova pubblicita' dei due stilisti
(ANSA) - ROMA, 2 MAR - Anche la Cgil si schiera contro la pubblicita' di Dolce e Gabbana e sottolinea che i due stilisti dovrebbero chiedere scusa a tutte le donne. Nel manifesto un uomo a torso nudo tiene una donna inchiodata a terra per i polsi, mentre lei cerca di divincolarsi.'Quel manifesto veicola messaggi di violenza sulle donne - afferma Valeria Fedeli della Cgil - deve scomparire e gli stilisti si devono scusare con le donne. Altrimenti l'8 marzo proclameremo uno sciopero degli acquisti dei capi di D&G'.

giovedì 1 marzo 2007

Macché modelle. E' un problema di modelli


Le ultime sfilate sono sfilate via come sfilatini imburrati, come sempre condite da un pizzico di polemica. Tra le boiate messe sul piatto dei giornalisti, la querelle sull'anoressia. Nulla di più becero, bigotto e drogato. Se queste ragazze devono rientrare nel packaging degli stilisti, evidentemente è un problema di contenitore e poi di contenuto. Siccome molte non potrebbero fare nient'altro che la modella si adeguano e ci stanno al gioco. Ma la cosa più irritante, tra le stranezze del luna park modaiolo, è che si sposta sempre l'asse di attenzione su tutto ciò che sembra ovvio e che allontana dal vero senso delle collezioni. Siccome è risaputo che la creatività dei nostri stilisti singhiozza non poco ci si diletta a sferruzzare il vuoto. In buona sostanza non è un problema di modelle ma di modelli. Kate Moss, ad esempio, è più richiesta adesso che qualche anno fa, quando "nessuno sapeva" che si faceva anche a casa di Nelson Mandela (nel suo bagno), Naomi Campbell continua a essere battuta da tutte le agenzie (e non solo!!!), Lapo Elkann, dopo i suoi straordinari trascorsi debutta con un paio di occhiali al Pitti Uomo e tutte le testate non si lasciano scappare lo scoop. Tra l'altro la cosa più esilarante è che il nostro Lapo sarà testimonial del Salone del Libro di Torino. E' un pò come affidare il Vinitaly ad un astemio. Gli scherzi del marketing... Finché non ci sarà un pò di pulizia la credibilità del circo sarà sempre quella che è.

Italiani poco attenti al look

(ANSA) - ROMA, 27 FEB - Gli italiani sono gli ultimi in Europa per la cura nel vestire: lo ha rivelato una ricerca internazionale, realizzata dal gruppo Axa. Alla domanda 'curo sempre il modo di vestire?', hanno risposto di si' l'88% dei lavoratori tedeschi, l'83% dei portoghesi, l'82% dei belgi, il 79% degli inglesi, il 78% degli americani e degli spagnoli, il 75% dei cinesi, il 71% degli australiani, il 70% dei francesi e il 68% degli italiani. Ultimi in classifica i giapponesi, con solo il 41%.

mercoledì 28 febbraio 2007

FASHION VICTIM

Adottiamo anche nella moda la regola del silenzio /assenso. - 26-02-2007


Cala il sipario su Milano Moda Donna, un’edizione questa dove la comunicazione ha dato il meglio di sé attraverso le pagine dei quotidiani focalizzandosi su tre argomenti. Il tema dell’anoressia e dell’alimentazione (qui non ci soffermiamo dato che i media si sono già ampiamente espressi), le polemiche Usa/Italia riguardo alla volgarità della nostra moda (chissà perchè poi vengono tutti a copiare da noi...) e sulla diatriba tra Giorgio Armani e una giornalista del New York Times rea di avere parlato male della sfilata, o meglio, di un paio di pantaloni proposti dallo stilista nella sua prima linea. Alla giornalista non è stato infatti consentito l’accesso alla sfilata di Emporio Armani proprio per quel suo giudizio considerato troppo severo ed azzardato.Ci siamo chiesti a questo punto se è meglio scrivere e quindi esprimere un proprio giudizio su una collezione o esimersi dal farlo, così da non rischiare di incorrere in polemiche che dimostrano ancora una volta come il rapporto moda/media sia troppo influenzato dagli interessi pubblicitari. Esattamente il contrario di quanto avviene nel mondo del cinema e della televisione dove giornalisti come Aldo Grasso del Corriere della Sera stroncano sul nascere la carriera di aspiranti attori e non perdonano le gaffe dei conduttori più navigati. Premesso che nessuno può e deve condizionare la libertà di stampa, ci rendiamo conto che per gli uffici comunicazione poter presentare al proprio cliente/datore di lavoro una rassegna stampa abbondante è, sotto certi aspetti, il segnale di aver fatto bene il proprio lavoro. Ma come si può chiedere a noi giornalisti di scrivere tutto di tutti? Come possiamo apprezzare tutte le collezioni (103 sfilate e 85 presentazioni in quest’ultima edizione di Milano Moda Donna) , partecipare ad ogni conferenza stampa e catturare il senso di una comunicazione a volte povera di contenuti e notizie? Colleghi dei quotidiani sono assediati dalle pr che contano addirittura le battute che vengono dedicate ad uno stilista piuttosto che ad un altro.Sarebbe come pretendere che una cliente, una volta arrivata nel negozio per fare acquisti, comperasse tutti i capi proposti dalla commessa per non far torto a nessuno stilista. Impossibile, specie quando anche il jeans della griffe più amata non ne vuole sapere di adattarsi ai nostri fianchi o l’abito è troppo corto per la nostra silhouette. Detto questo suggerisco che nella moda, come nella pubblica amministrazione, si adotti la regola del silenzio /assenso. Ovvero se entro 30 giorni dalla sfilata il giornalista non esprime un suo giudizio attraverso la carta stampata, il suo silenzio vale come assenso e quindi approvazione a quanto proposto dal direttore creativo della Maison . Ci toglieremo tutti dall’imbarazzo e le rassegne stampa sarebbero povere di contenuti ma pregne di buone intenzioni.

Cristiana Schieppati - dal Chi è Chi News

martedì 27 febbraio 2007

FESSO CHI LEGGE

Molti di voi mi hanno chiesto da dove nasce l'idea di un blog ironico sulla moda. E' il titolo stesso che la rappresenta in pieno. Fesso chi legge o fashion chi legge è una stanza di lettura, la sala del camino, una camera sterile protetta dalle contaminazioni di informazioni fashion. Non tutti sanno che siamo costretti a leggere o ad assistere ad un banchetto surgelato dove i quattro salti in padella li facciamo noi. La direzione e la traiettoria di un media è già studiata e alle spalle ci sono sempre gli stessi. Non esiste criticità e giornalismo puro nel fashion system italiano. Addirittura Carlo Rossella ha sottolineato che quando vuole leggere di moda, sceglie testate inglesi o spagnole. Questo perché nessuno in Italia si permette di commentare una sfilata, una campagna pubblicitaria, un sito internet delle case di moda nostrane. Sarebbe troppo rischiosa la partita. Si può guidicare un vino, un hotel, ormai anche un'automobile ma non "l'opera" di uno stilista.
E' una situazione meschina e desolante, questa che ci dovrebbe far riflettere e che ci teletrasporta al 53° posto nel ranking mondiale per libertà di stampa. Un esempio: durante l'ultimo Pitti Uomo di gennaio si è preferito dare più risalto agli occhiali di Lapo Elkann piuttosto che andare a fondo sulle collezioni delle centinaia di espositori presenti alla fortezza da basso. E si continua su questa strada, svilendo il lavoro dei più bravi che non hanno santi in paradiso o pianificazioni milionarie da rappresentare. Sul Corriere della Sera, infine, assistiamo al banchetto del Gruppo Tod's e del Gruppo Charme (Montezemoli & Associati) presenti anche quando non ce ne sarebbe un motivo reale. Ecco perché quando gli amici leggono riviste di moda mi metto a ridere perché si tratta solo di cataloghi.

IL MIO COMMENTO

Egregio Direttore trovo che questa rubrica, sia un ottimo e osato mezzo di comunicazione che guarda al futuro, e quindi le lascio il mio commento.
Viviamo in un'epoca dove tutto è il contrario di tutto, e quindi talento, creatività, e originalità, devono attraverso una sinergia e ostentazione di sorta, alimentare una continuità lavorativa, creando nuova essenza per la vita, dove unica e vera protagonista d'emozione, resta la porta del cuore.
Luca Moretti, stilista

lunedì 26 febbraio 2007

MADE IN ITALY o MAYBE IN ITALY

E' questo uno dei grandi temi all'origine della perdita di credibilità del sistema moda. Beppe Severgnini, in un recente fondo sul Corsera, citava il Grande Dilemma. Come mai si continua a sbandierare il tricolore su prodotti che non hanno mai visto il nostro Paese ? Come mai se compro un branzino o un'entrecote so perfettamente da dove arriva e se invece acquisto un maglione di cashmere non ho alcuna informazione ? Ci vuole un minimo di coerenza e di pudore. Evidentemente le minicrociate sul tema non hanno ottenuto risultati. I motivi sono presto detti: le grandi maison internazionali non ritengono prioritario il problema. Il fatto è che noi continuiamo a pagare un maglione di cashmere come se fosse pensato e realizzato in Italia e le griffe, producendo altrove, si arricchiscono con margini enormi. Il tutto a discapito della qualità.
Ci vuole un bel coraggio...

SISTEMA MODA e MODA SISTEMATICA

Problematiche attuali del sistema moda:
1 Il ricambio generazionale. Non ci sono all'orizzonte creativi emergenti
2 La perdita di creatività. Vedi articolo del New York Times sull'involuzione creativa dei nostri stilisti.
3 L'assoluta mancanza di autoironia del comparto.
4 La sedimentazione delle figure di riferimento. Non esiste ricambio.
5 Il giornalismo di settore. E' disarmante e all'insegna del TUTTO E' BELLO, TUTTO E' NUOVO.
In realtà ad ogni pianificazione corrispondono publiredazionali e marchette di ogni genere. Sono tagliati fuori tutti quelli che non dispongono di risorse da investire sui media. Provate a leggere un qualasiasi giornale e sovrapponete gli indirizzi "utili" citati in fondo. Sono sempre gli stessi.

L'arcipelago delle possibilità

"Così, superato l’obbligo della divisa su molti fronti (ma non su tutti), i giovani adulti tendono a vestirsi come si sono sempre vestiti, cambiando i segni e azzerando le differenze, sovvertendo le gerarchie e confondendo i sociologi. Le stravaganze proposte dagli stilisti sono sempre più ignorate e il potere non ha più un look, si nasconde nell’arcipelago delle possibilità. Evitare lo scollamento tra il vestire e il proprio sentire è l’unica regola valida. Significa però che la sensibilità e la cultura individuali assumono molta più importanza, tradiscono o dichiarano, determinano l’armonia dell’insieme. La capacità di decodificazione e di sintesi caratterizzano più che mai l’eleganza contemporanea. Quella reale"

venerdì 23 febbraio 2007

Nasce un blog utile

Buongiorno a tutti voi.
Sono Umberto Amato e da 15 anni mi occupo di comunicazione per diverse aziende di moda. Sono giornalista professionista iscritto all'Ordine etc.. e ho una piccola agenzia di pubblicità che mi regala ogni giorno piccole grandi soddisfazioni. Ma c'è qualcosa che da anni sogno di realizzare. Un punto d'incontro per discutere con ironia dei tic e delle smorfie del fashion system italiano, storicamente senza autoironia e senza un giornalismo di riferimento capace di stilettare quando serve. Questo perché nessuno si può armare di penna a causa dei condizionamenti dei budget pubblicitari. Partirei da qui, quindi. Dal NON GIORNALISMO di moda. Tutto è sempre bello, tutto è sempre nuovo.
Negli ultimi giorni, ad esempio, Il sole 24 Ore ha dovuto tirare le orecchie a Camilla Baresani poiché si era permessa di giudicare il ristorante di Dolce & Gabbana che avevano minacciato di ritirare la pubblicità sul quotidiano salmone. L'altro giorno, Giorgio Armani, ha negato l'accesso alla sua sfilata ad una giornalista del New York Times che si era permessa di giudicarlo.
Signori, armatevi di mouse e partiamo. Proprio da qui.