mercoledì 28 febbraio 2007

FASHION VICTIM

Adottiamo anche nella moda la regola del silenzio /assenso. - 26-02-2007


Cala il sipario su Milano Moda Donna, un’edizione questa dove la comunicazione ha dato il meglio di sé attraverso le pagine dei quotidiani focalizzandosi su tre argomenti. Il tema dell’anoressia e dell’alimentazione (qui non ci soffermiamo dato che i media si sono già ampiamente espressi), le polemiche Usa/Italia riguardo alla volgarità della nostra moda (chissà perchè poi vengono tutti a copiare da noi...) e sulla diatriba tra Giorgio Armani e una giornalista del New York Times rea di avere parlato male della sfilata, o meglio, di un paio di pantaloni proposti dallo stilista nella sua prima linea. Alla giornalista non è stato infatti consentito l’accesso alla sfilata di Emporio Armani proprio per quel suo giudizio considerato troppo severo ed azzardato.Ci siamo chiesti a questo punto se è meglio scrivere e quindi esprimere un proprio giudizio su una collezione o esimersi dal farlo, così da non rischiare di incorrere in polemiche che dimostrano ancora una volta come il rapporto moda/media sia troppo influenzato dagli interessi pubblicitari. Esattamente il contrario di quanto avviene nel mondo del cinema e della televisione dove giornalisti come Aldo Grasso del Corriere della Sera stroncano sul nascere la carriera di aspiranti attori e non perdonano le gaffe dei conduttori più navigati. Premesso che nessuno può e deve condizionare la libertà di stampa, ci rendiamo conto che per gli uffici comunicazione poter presentare al proprio cliente/datore di lavoro una rassegna stampa abbondante è, sotto certi aspetti, il segnale di aver fatto bene il proprio lavoro. Ma come si può chiedere a noi giornalisti di scrivere tutto di tutti? Come possiamo apprezzare tutte le collezioni (103 sfilate e 85 presentazioni in quest’ultima edizione di Milano Moda Donna) , partecipare ad ogni conferenza stampa e catturare il senso di una comunicazione a volte povera di contenuti e notizie? Colleghi dei quotidiani sono assediati dalle pr che contano addirittura le battute che vengono dedicate ad uno stilista piuttosto che ad un altro.Sarebbe come pretendere che una cliente, una volta arrivata nel negozio per fare acquisti, comperasse tutti i capi proposti dalla commessa per non far torto a nessuno stilista. Impossibile, specie quando anche il jeans della griffe più amata non ne vuole sapere di adattarsi ai nostri fianchi o l’abito è troppo corto per la nostra silhouette. Detto questo suggerisco che nella moda, come nella pubblica amministrazione, si adotti la regola del silenzio /assenso. Ovvero se entro 30 giorni dalla sfilata il giornalista non esprime un suo giudizio attraverso la carta stampata, il suo silenzio vale come assenso e quindi approvazione a quanto proposto dal direttore creativo della Maison . Ci toglieremo tutti dall’imbarazzo e le rassegne stampa sarebbero povere di contenuti ma pregne di buone intenzioni.

Cristiana Schieppati - dal Chi è Chi News

martedì 27 febbraio 2007

FESSO CHI LEGGE

Molti di voi mi hanno chiesto da dove nasce l'idea di un blog ironico sulla moda. E' il titolo stesso che la rappresenta in pieno. Fesso chi legge o fashion chi legge è una stanza di lettura, la sala del camino, una camera sterile protetta dalle contaminazioni di informazioni fashion. Non tutti sanno che siamo costretti a leggere o ad assistere ad un banchetto surgelato dove i quattro salti in padella li facciamo noi. La direzione e la traiettoria di un media è già studiata e alle spalle ci sono sempre gli stessi. Non esiste criticità e giornalismo puro nel fashion system italiano. Addirittura Carlo Rossella ha sottolineato che quando vuole leggere di moda, sceglie testate inglesi o spagnole. Questo perché nessuno in Italia si permette di commentare una sfilata, una campagna pubblicitaria, un sito internet delle case di moda nostrane. Sarebbe troppo rischiosa la partita. Si può guidicare un vino, un hotel, ormai anche un'automobile ma non "l'opera" di uno stilista.
E' una situazione meschina e desolante, questa che ci dovrebbe far riflettere e che ci teletrasporta al 53° posto nel ranking mondiale per libertà di stampa. Un esempio: durante l'ultimo Pitti Uomo di gennaio si è preferito dare più risalto agli occhiali di Lapo Elkann piuttosto che andare a fondo sulle collezioni delle centinaia di espositori presenti alla fortezza da basso. E si continua su questa strada, svilendo il lavoro dei più bravi che non hanno santi in paradiso o pianificazioni milionarie da rappresentare. Sul Corriere della Sera, infine, assistiamo al banchetto del Gruppo Tod's e del Gruppo Charme (Montezemoli & Associati) presenti anche quando non ce ne sarebbe un motivo reale. Ecco perché quando gli amici leggono riviste di moda mi metto a ridere perché si tratta solo di cataloghi.

IL MIO COMMENTO

Egregio Direttore trovo che questa rubrica, sia un ottimo e osato mezzo di comunicazione che guarda al futuro, e quindi le lascio il mio commento.
Viviamo in un'epoca dove tutto è il contrario di tutto, e quindi talento, creatività, e originalità, devono attraverso una sinergia e ostentazione di sorta, alimentare una continuità lavorativa, creando nuova essenza per la vita, dove unica e vera protagonista d'emozione, resta la porta del cuore.
Luca Moretti, stilista

lunedì 26 febbraio 2007

MADE IN ITALY o MAYBE IN ITALY

E' questo uno dei grandi temi all'origine della perdita di credibilità del sistema moda. Beppe Severgnini, in un recente fondo sul Corsera, citava il Grande Dilemma. Come mai si continua a sbandierare il tricolore su prodotti che non hanno mai visto il nostro Paese ? Come mai se compro un branzino o un'entrecote so perfettamente da dove arriva e se invece acquisto un maglione di cashmere non ho alcuna informazione ? Ci vuole un minimo di coerenza e di pudore. Evidentemente le minicrociate sul tema non hanno ottenuto risultati. I motivi sono presto detti: le grandi maison internazionali non ritengono prioritario il problema. Il fatto è che noi continuiamo a pagare un maglione di cashmere come se fosse pensato e realizzato in Italia e le griffe, producendo altrove, si arricchiscono con margini enormi. Il tutto a discapito della qualità.
Ci vuole un bel coraggio...

SISTEMA MODA e MODA SISTEMATICA

Problematiche attuali del sistema moda:
1 Il ricambio generazionale. Non ci sono all'orizzonte creativi emergenti
2 La perdita di creatività. Vedi articolo del New York Times sull'involuzione creativa dei nostri stilisti.
3 L'assoluta mancanza di autoironia del comparto.
4 La sedimentazione delle figure di riferimento. Non esiste ricambio.
5 Il giornalismo di settore. E' disarmante e all'insegna del TUTTO E' BELLO, TUTTO E' NUOVO.
In realtà ad ogni pianificazione corrispondono publiredazionali e marchette di ogni genere. Sono tagliati fuori tutti quelli che non dispongono di risorse da investire sui media. Provate a leggere un qualasiasi giornale e sovrapponete gli indirizzi "utili" citati in fondo. Sono sempre gli stessi.

L'arcipelago delle possibilità

"Così, superato l’obbligo della divisa su molti fronti (ma non su tutti), i giovani adulti tendono a vestirsi come si sono sempre vestiti, cambiando i segni e azzerando le differenze, sovvertendo le gerarchie e confondendo i sociologi. Le stravaganze proposte dagli stilisti sono sempre più ignorate e il potere non ha più un look, si nasconde nell’arcipelago delle possibilità. Evitare lo scollamento tra il vestire e il proprio sentire è l’unica regola valida. Significa però che la sensibilità e la cultura individuali assumono molta più importanza, tradiscono o dichiarano, determinano l’armonia dell’insieme. La capacità di decodificazione e di sintesi caratterizzano più che mai l’eleganza contemporanea. Quella reale"

venerdì 23 febbraio 2007

Nasce un blog utile

Buongiorno a tutti voi.
Sono Umberto Amato e da 15 anni mi occupo di comunicazione per diverse aziende di moda. Sono giornalista professionista iscritto all'Ordine etc.. e ho una piccola agenzia di pubblicità che mi regala ogni giorno piccole grandi soddisfazioni. Ma c'è qualcosa che da anni sogno di realizzare. Un punto d'incontro per discutere con ironia dei tic e delle smorfie del fashion system italiano, storicamente senza autoironia e senza un giornalismo di riferimento capace di stilettare quando serve. Questo perché nessuno si può armare di penna a causa dei condizionamenti dei budget pubblicitari. Partirei da qui, quindi. Dal NON GIORNALISMO di moda. Tutto è sempre bello, tutto è sempre nuovo.
Negli ultimi giorni, ad esempio, Il sole 24 Ore ha dovuto tirare le orecchie a Camilla Baresani poiché si era permessa di giudicare il ristorante di Dolce & Gabbana che avevano minacciato di ritirare la pubblicità sul quotidiano salmone. L'altro giorno, Giorgio Armani, ha negato l'accesso alla sua sfilata ad una giornalista del New York Times che si era permessa di giudicarlo.
Signori, armatevi di mouse e partiamo. Proprio da qui.